COACHING MINDFULNESS IN NATURA

Indice

 coaching / mindfulness in natura. piudimille.com

Coaching e mindfulness – Introduzione

Entriamo in un terreno affascinante, ma un po’ complesso. Soprattutto perchè parliamo di cose in cui la componente individuale è prevalente: sia per  chi si propone come coach, che per chi richiede questo servizio. Dov’è quindi il segreto ? Appunto in questo: nel trovare il punto di incontro tra il “cliente” (coachee) e il fornitore di servizio (coach) ; e di sviluppare le attività in modo conseguente.
Mindfulness è invece uno stato da raggiungere, ma anche uno strumento prezioso.
Vedete come vengano usati termini inglesi. Purtroppo sono entrati nell’uso, anche se a volte se ne abusa. L’importante è che non vengano usati per confondere le idee e far credere quello che non è

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Coaching e mindfulness: cosa sono

Coaching

Se voleste definizioni, più o meno formali, su cosa sia il coaching, vedete la fedele Wikipedia. Trovate poi le pagine di tanti coach, che lo spiegano, ognuno col suo stile e nella sua prospettiva.  Attenti a non perdervi, però.

Chi segue discipline sportive, sente spesso la parola coach usata come sinonimo di allenatore. In un certo senso è così ma, il paragone con lo sport va bene fino a un certo punto.

Qui, al solito, inserisco qualche cosa di personale, che è poi quello che conta, almeno nelle mie attività, rivolte in prevalenza alle singole persone.

In sostanza il rapporto di coaching è un accordo libero tra due (talvolta più) soggetti.
Da un parte c’è la persona che chiede il servizio di coach, chiamata spesso “coachee”: percepisce di volere fare qualcosa, a volte sa anche più o meno che cosa; ma può anche avvertire di non avere gli strumenti per iniziare. Importante:  il cliente che richiede coaching è nel pieno possesso di tutte le sue facoltà e non richiede quindi assistenza psicologica.
Dall’altra parte c’è il coach: appunto allena il coachee a trovare la strada, senza però prescriverla lui.
Il rapporto tra i due soggetti è, come detto, libero e può essere interrotto in qualsiasi momento.

Mindfulness 

Ecco un’altra parola inglese che, tradotta letteralmente in Italiano, significa “consapevolezza”. Consapevolezza, però, ha forse un connotato “etico”, un giudizio morale su cosa sia meglio o peggio. E allora non è questo, anzi.  Chiamiamola invece “presenza”, che è invece proprio la cosa giusta. Essere completamente in un solo posto, con il corpo e la mente.

Grande ! Pensateci bene: il contrario di quello che facciamo per abitudine. Ormai crediamo che fare più cose in una volta sia efficiente, moderno, segno di capacità. Pensate a un esempio semplice e comune: tutti quelli che, mentre fanno altre cose, ascoltano musica con gli auricolari. Mindfulness è il contrario: fare anche tante cose, ma una alla volta, cioè essere pienamente presenti in ognuna; non facile eh ! ma, proprio per questo, di soddisfazione.

Anche delle definizioni e dei protocolli formali di mindfulness, trovate in Wikipedia.

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Coaching e mindfulness: a cosa servono

Coaching

Guardate la figura, che trovate con tante varianti. Rappresenta quello che dovrebbe essere lo scopo del coaching, cioè sbrogliare un gomitolo. Un po’ è questo, ma non solo. Diciamo che, una volta che il filo sia sciolto, va usato, per fare qualcosa. Un’altra immagine è l’uscita dal labirinto: una volta usciti, dobbiamo riprendere una strada. Quindi: semplificare, trovare un obiettivo, raggiungerlo.

A volte ci possono essere varianti: non è detto che i nodi debbano essere sciolti, a volte può essere più facile tagliarli, o abbattere qualche muro di un labirinto.

Una immagine che viene usata di frequente per indicare uno degli scopi del coaching

Mindfulness

Anche qui un’immagine, anche lei con tante varianti. Ci sono abbastanza analogie con quella del coaching, vero ? Vi richiama poi alla “meditazione”, che della mindfulness è uno strumento.  Quindi, non lo scopo, che è invece la “presenza”. Cioè, il restare concentrati su una cosa sola alla volta, qualunque sia, per il tempo che ci è concesso. Quando non riusciamo più, passiamo ad altro. Perchè tutto questo ? Provare pe credere, può cambiare la vita, e anche parecchio.  Vedete comunque quanto l’immaginario possa essere lontano dalla realtà: la “meditazione” è spesso vista come cosa astratta, poco pratica; invece può essere la chiave per raggiungere l’applicazione e la concentrazione.

Effetti della mindfulness: semplificare e considerare una sensazione per volta, nel luogo e momento presenti

Coaching e mindfluness

Ecco che forse si accende una luce. Pensate di riuscire a sciogliere un nodo complicato senza applicarvi bene ? Usereste un coltello tagliente pensando ad altro ? O riuscireste ad uscire da un labirinto ? Guidare distraendovi continuamente e sperare di non sbagliare strada ? O accorgervi subito quando avete sbagliato ?

Bene, questi sono alcuni dei motivi per cui la “presenza” fa bene al coaching, e viceversa.

Coaching e competenze tecniche

Il coach deve avere competenze specifiche ?  La risposta che trovate più frequentemente è no, non è necessario. Per esempio, un “business coach” non deve necessariamente essere un economista, o un manager. Per come la vedo io, è vero, non è necessario; una certa competenza nel settore in cui si opera, però, per me è un grande aiuto per il coach e un potenziale valore aggiunto per il coachee. Sta alla abilità del coach di usarla in modo nascosto, discreto, per capire le esigenze del coachee ma senza indirizzarlo. Specifiche competenze poi possono essere offerte, su esplicita richiesta e come servizio separato.

Coaching e mindfulness: come fare

Coaching

Come esposto, il coaching è un rapporto con due contraenti: il coach, che offre la prestazione e il coachee, che la riceve. A volte, il “coachee” può anche essere un gruppo, formale o no.

Il metodo di procedere viene spiegato subito, attraverso il primo incontro, che riguarda appunto il rapporto e contratto di coaching.

Abbiamo detto che il percorso avviene in fasi e che può essere interrotto.  Il coach, infatti, non prescrive, non dà obiettivi; aiuta invece il coachee a vedere chiaro, e formarli indipendentemente.  Può anche succedere che il coachee pensi di avere un obiettivo, ma poi capisca che era diverso, magari anche molto più semplice. Che, quindi, decida di non avere più bisogno del coach. D’altra parte, il coach potrebbe capire che il coachee abbia bisogno di altro: in questo caso lo deve dire apertamente.  Proprio questo è il bello: il rapporto è libero e può finire in ogni momento.

Può accadere che si parta con un obiettivo e si finisca con un altro. Che quello che sembrava un obiettivo si riveli semplicemente uno strumento.  E altro.

Sbrogliato il gomitolo, poi c’è la fase di “allenamento”.  L’obiettivo deve essere alla portata, altrimenti tutto rischia di non funzionare. Però il coachee può avere bisogno di “allenamento”; il coach può quindi dare dei compiti, e invitare a verifiche, strada facendo.

Tutto questo avviene con incontri, il cui numero non è definibile a priori. Adesso ci siamo abituati agli incontri “a distanza”, che possono funzionare anzi, a volte aiutano a  vincere resistenze. Ma non hanno la stessa potenza di quelli in persona.

Leggete spesso aggettivi, assieme alla parola “coach”, anche questi, nella maggior parte dei casi, in lingua inglese. A mio avviso, la differenza più grande è tra:

– coaching richiesto direttamente dalla persona e coaching richiesto da aziende ed organizzazioni

– nel primo caso, possiamo ancora distinguere il coaching richiesto per prestazioni lavorative e quello rivolto ad aspetti più connessi alla sfera individuale, anche se la differenza può non essere così netta.

“Life coaching” o “mental coaching”, sono espressioni sinonime, che si riferiscono in genere al coaching applicato alla soluzione di problematiche individuali.

E’ la categoria ancora meno definita e, forse, più difficile; se non altro per il motivo che gli obiettivi, finali o intermedi, possono essere meno facilmente quantificabili, rispetto, ad esempio, al coaching per gli affari (business) o per lo sport.  

E’ comunque il settore di cui mi occupo in prevalenza (vedete anche alla fine: coaching di natura – Nature coaching)

Mindfulness

La “presenza” o “consapevolezza” è uno stato, il cui raggiungimento è individuale. Tuttavia, gli stili di vita di adesso fanno sì che, forse la maggior parte della gente, non ne abbia la percezione. Quindi, può rendersi necessario un aiuto, che indichi come potere fare per raggiungere questo stato. Anche in questo caso, si tratta quindi di un rapporto tra un “facilitatore” e un “cliente”. 

Come “fare” quindi la mindfulness. Senza entrare ora troppo in dettagli, in genere, si comincia con portare l’attenzione verso  alcune funzioni che sono anche spontanee, tra cui, in primis, la respirazione, ma non solo.  Esistono metodologie formali, chiamate così perchè basate su protocolli già collaudati che, quindi generalmente funzionano  bene, soprattutto per cominciare.  Molti sono basate su sensazioni fisiche, più facili, ma altri anche su pensieri, un po’ più difficili da gestire. Esistono poi anche metodologie informali, applicabili una volta che sia stata acquisita un minimo di confidenza; hanno il vantaggio della flessibilità, perchè possono essere adattate ai momenti  disponibili, alle attitudini individuali, o possono anche diventare uno stile di vita.

Anche per “imparare” la mindfulness sono necessari incontri, da decidere in un libero rapporto tra chi offre la facilitazione e chi la riceve. Anche la mindfulness richiede allenamento costante, per essere mantenuta.

Compare quindi un’apparente affinità col rapporto di coaching, che vediamo qui sotto.

Coaching  e mindfulness

Allora, indipendentemente dal suo indirizzo, un rapporto di coaching richiede: a) fare luce su possibile confusione iniziale; b) individuare uno obiettivo finale, o obiettivi intermedi; c) organizzare azioni per raggiungerlo.  E’ chiaro che la “presenza”, cioè l’attenzione su questi punti, sia indispensabile.

La “mindfulness” diventa quindi uno strumento potente per il coaching. Il coach la usa per dare al meglio il suo servizio. La propone al coachee, per potere soddisfare le sue esigenze.

Ecco però, che la mindfulness può anche divenire un obiettivo intermedio, quando, durante il rapporto di coaching, il coachee convenga che il suo livello di presenza sia da migliorare.

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Coaching e mindfulness: dove farli

Risposta semplice, forse troppo: si può fare dovunque. Vedete anche qui sotto, per il “coaching di natura”.  In realtà, la maggior parte dei rapporti di coaching vengono fatti in ambienti delimitati, come uffici, studi professionali, abitazioni o sedi di aziende o enti.

Esistono comunque casi abbastanza diversi. Per esempio, una gran parte delle attività di coaching di gruppo,  in prevalenza aziendale, chiamate “team building”, vengono fatte in ambiente esterno, o in contesti interni diversi, che possono essere laboratori, cucine, palestre etc.

Lo stesso discorso vale per la mindfulness. Infatti, alcune pratiche di mindfulness, soprattutto quelle legate ad attività motoria, vengono fatte all’aperto.

Coaching e mindfulness di natura

Eccoci adesso all’argomento principale di questa pagina.

Di cosa si tratta ? Mica facile… Vi posso dire cosa penso ( e faccio) io. 

I confini, in queste cose, sono molto aperti. Abbiamo visto, qui sopra, come il “team building” venga svolto molto spesso all’esterno. Non sempre, però,  la natura c’entra gran chè: a volte prevale la dimensione sportiva. E poi, il team building è pratica collettiva ed aziendale.

Il “mio” coaching di natura” rientra, in prevalenza, nel settore “life”, cioè rivolto alle persone che facciano scelta indipendente. In prevalenza, ma non solo, come processo individuale.

Allora, qual è il collegamento tra coaching / mindfulness e natura ? Ancora una volta, non esiste una sola risposta e, quindi, faccio alcuni esempi.

La natura come obiettivo. Pensiamo a chi, dopo un lungo distacco, senta la voglia di riaccostarsi in modo attivo alla natura, ma non sappia da dove iniziare. Al giorno d’oggi esistono talmente tante proposte, anche poco consistenti e contrastanti tra loro, molte puramente commerciali, che un po’ di coaching può starci.

La natura come strumento. Pensiamo invece a chi (spero in verità che non mi capiti), si presentasse con un quesito tipo: “voglio stare meglio”. Può essere che lo stare in natura possa emergere come strumento importante.

La natura come luogo. La differenza con la categoria precedente può essere sottile. Pensate però a un rapporto di coaching indirizzato, per esempio, a risolvere situazioni differenti, tipo di natura famigliare, trasferimenti etc. In questi casi, può essere che, semplicemente, uscire aiuti a gestire almeno una parte delle sessioni di coaching.

Natura, mindfulness e… bagno di bosco. Alcune attività di mindfulness trovano il loro contesto ideale in ambienti naturali o, quanto meno, in ambienti aperti. Nella pagina dedicata, ho fatto un’introduzione al “bagno di bosco”.  Molti inviti che vengono fatti durante una sessione di “bagno di bosco” possono richiamare attività di mindfulness, soprattutto quella informale. Volendo trovare una differenza, possiamo dire che gli inviti della mindfulness sono spesso più prescrittivi, cioè indicano in modo più preciso cosa fare. Quelli di bagno di bosco, per definizione, non lo sono, cioè lasciano la quasi totale libertà di agire secondo quello che ognuno sente. 

Coaching e protezione della natura. Alcune “scuole” indicano come il coaching di natura, in realtà dovrebbe essere indirizzato alla formazione di figure di persone impegnate nella “difesa” attiva della natura, attraverso il coinvolgimento.  Queste figure sono a volte chiamate “ambasciatori” o “messaggeri” della natura o della foresta. Per come la vedo io, questo approccio è un po’ in contrasto con lo spirito del coaching, in quanto fornisce già in qualche modo un obiettivo. Nel coaching, invece, è il “cliente” che deve individuare il suo.  Quindi, diventare “ambasciatori di natura” può andare, se è una scelta del coachee. E, in ogni caso, il rapporto di coaching non è un corso di formazione.

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